Un paio di anni fa ero in vacanza in Tailandia quando decisi di dare uno sprint maggiore al mio viaggio ed andare in Cambogia.

Ci avevo già pensato, volevo vedere Angkor Wat da un po’. Poi una ragazza che ho conosciuto a Chiang Mai mi regalò questo struggente libro  e tra una lacrima e l’altra pensai fosse necessario fare un salto a Siem Reap.

viaggio Angkor Wat

Non mi sembrava troppo lontano, e l’aereo era abbastanza caro (100 USD, che poi ho dovuto spendere due volte al ritorno perchè ho sbagliato volo… ma questa è un’altra storia), in più avevo proprio voglia di farmi dieci ore su un treno tailandese, quindi decisi di andarci via terra.

Il viaggio comincia in un ostello orribile vicino alla stazione di Bangkok, Hua Lamphong, dove pernotto per cercare di svegliarmi in tempo e prendere l’unico treno giornaliero per Aranyaprathet, che partiva alle  5:55 di mattina e sarebbe dovuto arrivare a destinazione intorno alle 12.30.

treno aranyaprathet

Il treno costa 58 thb ossia 7 euro, arriva puntuale e mi permette di fare amicizia con un italiano di 40 anni che incredulo si chiede per tutto il tempo che ci faccia lì da sola e una bambina thai a cui regalo uno dei miei braccialetti. Le sole 8 ore di viaggio volano.

bimba thai

Quando arriviamo ad Aranyaprathet  mi rendo conto che la scottatura che mi sono procurata il giorno prima a Krabi mi dà difficoltà a portarmi lo zaino, pertanto giro per la stazione con un pittoresco asciugamano sulle spalle su cui adagio il mio zaino.

Da lì al confine ci volevano 40 minuti di cammino ed ero preparata a questo, ma l’italiano del treno, che era lì per andare a trovare degli amici, si offre per farmi dare un passaggio nei pressi del confine. Dopo pochissimi secondi di esitazione accetto e sono allegra nel SUV di questi sconosciuti che, avendo trovato traffico nella strada che portava al luogo dove avevano in programma di vivisezionarmi e vendere tutti i miei organi, imboccano la via per Poipet e mi lasciano sorprendentemente alla mia destinazione.

Un po’ intontita dal mercato locale, cerco un ATM per prelevare, dato che sapevo che avrei dovuto pagare il visto in dollari e avevo solo euro e moneta tailandese. Arrivata all’ATM mi rendo conto che mi avrebbe dato solo chili di moneta cambogiana, che serve a un po’ meno che alla carta igienica, se non altro quanto a consistenza e igiene.

visa Cambogia

Pertanto vado a una banca che con un tasso di cambio tanto favorevole a loro quanto dannoso per me mi cambia i miei luridi thai bath per sgargianti dollari statunitensi. Poi qualcuno un giorno mi spiegherà perché la moneta di quei dementi deve sempre farla da padrona in tutti i miei viaggi dall’altra parte del mondo. Vabbè.

Col mio ricco bottino mi dirigo verso la frontiera. Non è difficile trovarla perché ogni tanto si incrocia qualche turista e c’è anche qualche cartello.

Lungo il cammino ci sono varie persone che cercano di fregarti dandoti delle indicazioni fasulle sull’ufficio visti, che portano guarda caso al loro negozio, dove ti faranno loro un visto a dieci dollari in più.

Dato che io questo lo sapevo, e in più vengo da Napoli (si, vale anche in Cambogia questa regola), non mi faccio fregare e proseguo dritta per la mia strada.

Ci sono un sacco di turisti, bisogna compilare moduli, fare una fila per pagare, una fila per consegnare i moduli, una fila per fare un’altra fila. Sborso il mio obolo di 20 dollari e sono finalmente ammessa nel glorioso Regno di Cambogia.

regno di cambogia

Kingdom of Cambodia

Devo camminare ancora forse una cinquantina di metri e sento l’emozione di entrare a piedi in un altro paese. Penso a come sarebbe bello se le frontiere fossero tutte come questa qua. Senza morti e senza feriti. Una fila, due moduli ed entro in un altro paese. Purtroppo posso farlo solo io e tutti gli altri cretini come me che hanno vinto il white privilege al lotto.

Comunque, una volta che sono in Cambogia, formalmente a Poipet, mi rendo conto che ne ho ancora di strada fino a Siem Reap!

Facendomi spazio tra un sacco di cambogiani che mi chiedono di finanziare la loro istruzione,  riesco a infilarmi in un pullman che va in direzione Siem Reap. Peccato che non parte per la prossima ora. Aspetto, e poi mi godo le due ore e mezza successive di viaggio senza un briciolo di stanchezza.

Quando arrivo nei pressi di Siem Reap, il pullman ci lascia e lì non so come raggiungere il mio ostello. Quelli dei tuk-tuk non riescono ad aiutarmi, alla fine salto su uno di questi tuk-tuk insieme ad altri due italiani tamarissimi che non capivo che ci facessero lì. Ovviamente non c’è posto per tutti e 3, e io mi faccio mezz’ora di viaggio praticamente appesa fuori mantenendo lo zaino con una mano per non farlo cadere.

tuk tuk siem reap

Non ho valide prove fotografiche a testimonianza di questi momenti

Le strade non sono vere strade, la gente è scalza, il conducente continua a non portarmi nel mio ostello e a propormi invece quelli dei suoi amici, o a portarmi a quello dei suoi amici dicendomi che è il mio ostello, finché non riesco ad arrivarci quando ormai non ci speravo più.

Entro nella mia stanza e sento una puzza di pesce infinita proveniente dal mio zaino. La gente guarda me e guarda il mio zaino ed io non capisco cosa succede. Lascio lo zaino in isolamento fino alla mattina dopo, quando complice il sole scopro che la grossa pietra che avevo raccolto in mare in Tailandia il giorno prima e che mi ero conservata, era in realtà un PESCE VIVO, che mi ero portata in canzone amabilmente da Bangkok alla Cambogia e che stava appestando tutto il circondario.

Mi separo mio malgrado dalla mia pietra-pesce e mi lancio alla scoperta di Angkor Wat.

Angkor Wat tuk-tuk